Michael Ende, La Storia Infinita​​​​​​​​​​​​​​, Longanesi &C., 1984 Quarta edizione

«Che cosa vi è successo?» s'informò Atreiu.
“La distruzione si va estendendo”, si lamentò il primo, “cresce, cresce e dilaga sempre più, se mai si potesse dire che il Nulla cresce. Tutti gli altri sono fuggiti per tempo dal Bosco Frusciante, ma noi non volevamo abbandonare la nostra terra. E così ci ha colti nel sonno e ha fatto di noi ciò che ora tu hai davanti agli occhi.”
“Fa molto male?” domandò Atreiu.
“No”, rispose il secondo dei Trolli, quello con il buco nel petto, “non si sente niente. E soltanto che ti manca un pezzo. E una volta che si è colpiti, ogni giorno ti manca qualcosa di più. Presto non esisteremo più del tutto.”
“Qual è il punto del bosco dove è cominciato?” volle sapere Atreiu.
“Lo vuoi vedere?” Il terzo dei Trolli, quello che era solo una metà, guardò i suoi compagni di sventura con aria interrogativa. Quando quelli assentirono, proseguì: “Ti porteremo fino a un punto da cui potrai vedere, ma, da parte tua, devi promettere di non andare un passo più in là. Altrimenti ne sarai attratto irresistibilmente.”
“Va bene, lo prometto.”
I tre si voltarono e si diressero verso il margine del bosco. Atreiu prese Artax per la briglia e li seguì. Per un po' camminarono a destra e a manca in mezzo a quegli alberi giganteschi, poi, davanti a un tronco particolarmente robusto, si arrestarono. Era enorme, cinque omaccioni grandi e grossi non sarebbero bastati per abbracciarlo.
“Arrampicati più in alto che puoi”, suggerì il Trollo senza gambe, “e guarda dalla parte da cui sorge il sole. Là lo vedrai, o meglio non lo vedrai.” Atreiu si accinse a scalare il tronco, appigliandosi alle sue gibbosità. Arrivò ai rami inferiori. Si spinse più su, fino a un ramo più alto, poi con un'altra spinta si portò ancora più su, al ramo successivo, e così sempre più avanti, fino a che non vide più nulla di quello che stava sotto di lui. Continuò ad arrampicarsi, il tronco si faceva a mano a mano sempre più sottile e i rami laterali più numerosi, di modo che salire gli riusciva sempre più facile. Quando alla fine si trovò a sedere sulla cima svettante, volse lo sguardo dalla parte da cui saliva il sole e lo vide..
Le cime degli altri alberi, quelli vicinissimi, erano verdi di foglie, ma il fogliame degli alberi un poco più avanti pareva aver perduto ogni colore, era diventato grigio. E ancora un poco più oltre, il fogliame pareva stranamente trasparente, come avvolto dalla nebbia o, per meglio dire, pareva farsi sempre più irreale. E, ancora più in là, non c'era più nulla, assolutamente nulla. Non una zona di bosco spoglia di verde, non oscurità né chiarore, era piuttosto qualcosa che risultava insopportabile alla vista e dava a chi vi fissava lo sguardo l'impressione di essere cieco. Poiché non c'è occhio che possa sopportare di fissarsi nel Nulla assoluto. Atreiu si coprì il volto con le mani e per poco non cadeva dal suo ramo... Vi si aggrappò con forza e poi ridiscese quanto più in fretta poté. Aveva visto abbastanza. Solo in quel momento comprendeva tutto l'orrore del Male che andava dilagando in Fantàsia
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“Guarda un po', Vecchia, AURYN, da quanto tempo non l'avevamo più vista l'insegna dell'Infanta Imperatrice... da tanto, tanto tempo ».
“L'Infanta Imperatrice è malata”, spiegò Atreiu, “lo sapevi?”
“A noi non importa, vero, Vecchia?” replicò la Morla, che pareva avere la singolare abitudine di parlare con se stessa, forse perché era priva d'interlocutori da chissà quanto tempo.
“Se non facciamo qualcosa per salvarla, morirà”, aggiunse Atreiu in tono pressante. “E va bene”, fece la Morla.
“Ma con lei finirà anche Fantàsia”, esclamò Atreiu, “la distruzione sta già dilagando ovunque, l'ho vista con i miei occhi.”
La Morla lo fissò con il suo immenso occhio vuoto. “Noi non abbiamo proprio nulla in contrario, vero, Vecchia?” gorgoglio.
“Ma allora sarà la fine per tutti noi!” gridò Atreiu. “Per tutti!”
“Sta' a sentire, piccolo”, rispose la Morla, “e che cosa credi che ce ne importi? Per noi niente più è importante. É tutto lo stesso, assolutamente lo stesso.”
“Ma anche tu sarai distrutta, Morla”, gridò Atreiu infuriato, “anche tu! Oppure credi, perché sei così vecchia, di poter sopravvivere a Fantàsia?”
“Sta' a sentire”, gorgogliò la Morla, “noi siamo vecchi, piccolo, troppo vecchi. Abbiamo vissuto abbastanza. Abbiamo visto anche troppo. Per chi sa tante cose come ne sappiamo noi non c'è più nulla d'importante. Tutto si ripete in eterno, il giorno e la notte, l'estate e l'inverno, il mondo è vuoto e senza senso. Tutto gira soltanto in tondo. Ciò che comincia deve finire, ciò che prende vita deve poi morire. Tutto si compensa, il Bene e Male, il Bello e il Brutto, la Stupidità e la Saggezza. Tutto è vuoto. Niente è reale. Niente è importante.”
Atreiu non sapeva che cosa rispondere. Quel gigantesco, mostruoso sguardo vuoto e buio della vecchissima Morla paralizzava tutti i suoi pensieri. Dopo un po’ sentì che lei riprendeva a parlare:
“Tu sei ancora giovane, piccolo. Noi siamo vecchi. Se tu fossi vecchio come noi, sapresti che non c'è altro che la tristezza. Guarda un po'. Perché non dovremmo morire, tu, noi, l'Infanta Imperatrice, tutti, tutti quanti? Tutto è solo apparenza, solo un gioco nel Nulla. Tutto è indifferente. Lasciaci in pace, piccolo, vai via.”
Atreiu dovette chiamare a raccolta tutta la sua volontà per opporsi alla paralisi che gli veniva da quello sguardo vuoto. “Se tu sai tante cose”, disse, “allora saprai anche qual è la malattia dell'Infanta Imperatrice e saprai anche se c'è un rimedio!”. “Lo sappiamo, vero, Vecchia, lo sappiamo, sbuffò la Morla, “ma non ha importanza se si salva o no. Perché lo dovremmo dire?”
“Se ti è davvero tanto indifferente”, insisté Atreiu, “allora potresti anche dirlo, tanto per te fa lo stesso.”
“Potremmo anche farlo, sicuro, Vecchia, non è vero?” grugni la Morla. “Ma non ne abbiamo voglia.”
“In tal caso”, esclamò Atreiu, “vuol dire che non ti è poi tanto indifferente! Allora vuol dire che tu stessa non credi a quello che dici!”
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“Oh, in tutti i tempi ci sono state persone che non hanno ritrovato la strada per tornare nel loro mondo”, spiegò Argax. “Prima non volevano e ora... diciamo... non possono più.”
Bastiano vide una bambinetta che con enorme fatica cercava di spingere avanti una carrozzina da bambola con le ruote quadrate. “Perché non possono più?” domandò.
“Dovrebbero desiderarlo. Ma ormai non desiderano più niente. Hanno sprecato il loro ultimo desiderio in qualche altra cosa.”
“Il loro ultimo desiderio?” fece Bastiano con le labbra smorte.
“Ma perché, non si può continuare ad avere desideri fin che si vuole?”
Argax tornò a ridacchiare e tentò di strappare a Bastiano il turbante, per spulciarlo.
“Lascia stare!”, gridò Bastiano. E cercò di scuotersi di dosso la scimmietta; ma quella gli si teneva ben stretta addosso e squittiva divertita. “Certo che no! Certo che no!” rispose sghignazzando. “Puoi continuare ad avere desideri fintanto che ti ricordi del tuo mondo. “Quelli che vedi qui invece hanno fatto fuori tutti i loro ricordi. E chi non ha più un passato non ha neppure un avvenire, non ti pare? Per questo non invecchiano. Guardali un po'. Ci crederesti che alcuni di loro sono qui da mille anni e anche più? Ma restano così come sono. Per loro nulla può cambiare, perché loro stessi non possono più cambiarsi.”
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“AURYN ti dà il grande potere”, esclamò in tono solenne, “ma tu non lo devi usare. Perché anche l'Infanta Imperatrice non fa mai uso del suo potere. AURYN ti proteggerà e ti guiderà, ma tu non dovrai mai attaccare, qualunque cosa tu debba vedere, poiché da questo momento la tua opinione non conta più. Perciò devi partire senza armi. Devi lasciare che accada tutto ciò che deve accadere. Tutto deve essere uguale per te, il Bene e il Male, il Bello e il Brutto, la Stupidità e la Saggezza, così come è per l'Infanta Imperatrice. Tu devi soltanto cercare e domandare, ma mai sentenziare secondo il tuo giudizio. Non dimenticartelo mai, Atreiu!”
“AURYN!” ripeté Atreiu devotamente. “Mi mostrerò degno del Gioiello. Quando devo partire?”
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Durante la sua Grande Ricerca Atreiu aveva ormai fatto parecchie esperienze, aveva visto cose meravigliose e orribili, ma fino a quel momento non sapeva che entrambe queste cose, la bellezza suprema e l'orrore, potessero raccogliersi in una cosa sola e cioè che la bellezza potesse essere orribile.
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“Voi stessi laggiù siete costretti a fare chiedere che fantasia non esiste.” “Che Fantàsia non esiste?” ripeté Atreiu sconvolto. “Ma certo, figliolo”, rispose Mork, “questa è anzi la cosa principale. Non riesci a capirlo? Solo se credono che Fantàsia non esiste, non viene loro l'idea di venirvi a cercare. E tutto dipende da questo, perché solo se non vi conoscono per quello che siete veramente si può fare di loro quello che si vuole.” “Cosa... fare di loro cosa?” “Tutto quello che si vuole. Si ha il potere su di loro. E nulla dà maggior potere sugli uomini che la menzogna. Perché gli uomini, figliolo, vivono di idee. E quelle si possono guidare come si vuole. Questo potere è l'unico che conti veramente. Per questo anch'io sono stato dalla parte del potere e l'ho servito, per avere la mia parte, anche se in modo diverso da come potete fare tu e i tuoi simili.” “Ma io non voglio aver parte del potere!” gridò Atreiu. “Resta calmo, piccolo sciocco”, brontolò il Lupo Mannaro, “non appena verrà il tuo turno di saltare nel Nulla, diventerai anche tu un servo del potere, senza volontà e irriconoscibile. Chi lo sa a che cosa potrai servire. Forse servirà il tuo aiuto per indurre gli uomini a comperare cose di cui non hanno bisogno, o a odiare cose che non conoscono, o a credere cose che li rendono ubbidienti, o a dubitare di cose che li potrebbero salvare. Con voi, creature di Fantàsia, nel mondo degli uomini si fanno i più grossi affari, si scatenano guerre, si fondano imperi... “
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“Tutte le menzogne erano un tempo creature di fantasia. Sono della stessa sostanza, però sono diventate irriconoscibili e hanno perduto la loro vera natura. Ma ciò che Mork ti ha detto era solo una mezza verità, come altro non ci si può aspettare da una creatura che è una mezza creatura. Ci sono due modi per varcare i confini fra Fantàsia e il mondo degli uomini, un modo giusto è uno sbagliato. Quando le creature di Fantàsia vengono trascinate nell'altro mondo in quella terribile maniera, quello è il modo sbagliato. Ma quando è un figlio dell'uomo a venire da noi, questo è il modo giusto. Tutti i figli dell'uomo che sono venuti fra noi hanno appreso qualcosa che solo qui potevano apprendere e che li ha fatti tornare nel loro mondo profondamente mutati. Erano diventati dei veggenti, perché ci avevano visto nella nostra vera natura. Per questo potevano ora guardare anche il loro stesso mondo e il loro prossimo con occhi del tutto diversi. Là dove prima non vedevano che banali cose quotidiane, scoprivano d'improvviso miracoli e misteri. Per questo venivano volentieri da noi in Fantàsia. E quanto più ricco e fiorente il nostro mondo diventava grazie a loro, tanto meno erano le menzogne nel loro mondo, e tanto più perfetto esso diventava. Così come i due mondi possono distruggersi a vicenda, allo stesso modo possono vicendevolmente risanarsi.”
Atreiu rifletté per un momento e poi domandò: “Com'è cominciato?”
“La disgrazia che è caduta su entrambi i mondi”, rispose l'Infanta Imperatrice, “ha anch'essa una doppia origine. Adesso ogni cosa è mutata nel suo contrario: ciò che può render veggenti acceca; ciò che può creare il nuovo diventa distruzione. La salvezza si trova nei figli degli uomini. Uno, uno solo deve venire a darmi un nome nuovo. E verrà.” Atreiu restò in silenzio
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“Posso farti ancora una domanda?” riprese a dire Atreiu rivolto all'Infanta Imperatrice. Lei annuì sorridendo.
“Perché solo un nome nuovo può risanarti?” “Solo il nome giusto dà a tutte le creature e a tutte le cose la loro realtà”, spiegò lei. “Il nome sbagliato rende tutto irreale. Questo è ciò che fa la menzogna.”
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“Tutto è molto più grandioso e insieme più reale di come lo potrei mai immaginare. E nondimeno, tutto si traduce in realtà dopo che l'ho in qualche modo desiderato.”
“Questo succede perché porti AURYN”
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“Le strade di Fantàsia”, disse Graogramàn, “le puoi trovare solo grazie ai tuoi desideri. E ogni volta puoi procedere soltanto da un desiderio al successivo. Quello che non desideri ti rimane inaccessibile. Questo è ciò che qui significano le parole vicino e lontano”. E non basta volere soltanto andar via da un luogo. Devi desiderarne un altro. Devi lasciarti guidare dai tuoi desideri.”
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“Dipende da AURYN.”
Bastiano si sollevò puntellandosi sul gomito e guardò l'amico con occhi annebbiati dal sonno.
“Che cosa intendi dire?”
“Lo Splendore”, continuò Atreiu, come se parlasse a se stesso, “agisce su di noi in maniera diversa che sul figlio dell’uomo."
“Come sei arrivato a questa conclusione?”
“L'amuleto dà un grande potere, ti permette di realizzare tutti i tuoi desideri, ma al tempo stesso ti porta via qualche cosa: il ricordo del tuo mondo.”
Bastiano rifletté un momento. Non aveva l'impressione di sentire la mancanza di qualcosa.
“Graogramàn mi ha detto che devo percorrere la strada dei desideri, se voglio trovare la mia vera volontà. E questo è il significato della scritta che sta su AURYN. Ma per far ciò devo procedere da un desiderio all'altro. Non posso scavalcarne neppure uno. Non posso percorrere la mia strada in Fantàsia altro che così, ha detto. Per questo ho bisogno dell’amuleto." “Si”, replicò Atreiu, “esso ti dà la direzione e al tempo stesso ti porta via la meta.”
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Poi Bastiano vide gli abitanti: uomini, donne, bambini. Dall'aspetto esteriore parevano gente normalissima, ma il loro vestiario faceva pensare che fossero stati colti da follia collettiva, tanto da non riuscire a distinguere fra oggetti d'uso comune e articoli d'abbigliamento. In testa portavano paralumi, secchi per la sabbia, zuppiere, cestini da carta, scatole o sacchetti. E indosso avevano tovaglie, tappeti, grandi strisce di carta stagnola; alcuni si erano persino infilati in bidoni di latta.
Molti tiravano o spingevano carriole e carretti carichi di ogni sorta di suppellettili, lampade rotte, stoviglie, stracci e lustrini. Altri invece portavano le stesse cose sulla schiena, raccolte in grossi fagotti.
Quanto più Bastiano scendeva verso la città, tanto più fitto era il brulichio di quella strana gente. Tuttavia, per quanto affaccendati, tutti davano l'impressione di non sapere affatto dove volessero andare. Più di una volta Bastiano osservò che un tale, dopo aver faticato non poco per trascinare il suo carro in una certa direzione, d'un tratto si voltava e tornava indietro; di lì a poco ci ripensava e ricominciava tutto daccapo.
Tutti comunque parevano dominati da una febbrile attività. Bastiano decise di rivolgere la parola a uno di loro.
“Come si chiama questa città?”
L'interpellato lasciò andare di colpo il suo carretto, si raddrizzò, si strofinò per un po' la fronte come se cercasse di concentrare i suoi pensieri, poi se ne andò, piantando in asso Bastiano e anche il proprio veicolo, come se se ne fosse dimenticato. Ma pochi minuti dopo arrivò una donna che s'impossessò del carretto e lo trascinò in un'altra direzione. Bastiano le domandò se quella mercanzia fosse roba sua. La donna restò sprofondata in riflessioni e quindi se ne andò senza rispondere.
Bastiano tentò ancora un paio di volte di far domande, ma non riuscì a ottenere risposta alcuna. “E' perfettamente inutile far loro delle domande”, squittì all'improvviso una voce dietro di lui, “tanto quelli non possono dire più niente. Si potrebbero chiamare i Nulladicenti.”
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“Ma che cos’hanno?" domandò ancora. “Perché si comportano in maniera così strana?”
“Nient'affatto strana”, gli ridacchiò la scimmia nell'orecchio, “sono i tuoi simili, si potrebbe dire, o per lo meno lo sono stati ai loro tempi.”
“Che cosa vuoi dire?” Bastiano si fermò. “Vuoi dire che sono esseri umani?”. Argax cominciò a saltellare divertita sulle spalle di Bastiano, sue giù: “E così! E così!” Bastiano guardò una donna seduta in mezzo alla strada che tentava di prendere piselli da un piatto infilandoli con un ago.
“Ma come arrivano qui? Che cosa ci stanno a fare?”. “Oh, in tutti i tempi ci sono state persone che non hanno ritrovato la strada per tornare nel loro mondo», spiegò Argax. “Prima non volevano e ora... diciamo... non possono più.”
Bastiano vide una bambinetta che con enorme fatica cercava di spingere avanti una carrozzina da bambola con le ruote quadrate. “Perché non possono più?” domandò.
“Dovrebbero desiderarlo. Ma ormai non desiderano più niente. Hanno sprecato il loro ultimo desiderio in qualche altra cosa.”
“Il loro ultimo desiderio?” fece Bastiano con le labbra smorte.
“Ma perché, non si può continuare ad avere desideri fin che si vuole?”
Argax tornò a ridacchiare e tentò di strappare a Bastiano il turbante, per spulciarlo.
“Lascia stare!”, gridò Bastiano. E cercò di scuotersi di dosso la scimmietta; ma quella gli si teneva ben stretta addosso e squittiva divertita. “Certo che no! Certo che no!” rispose sghignazzando. “Puoi continuare ad avere desideri fintanto che ti ricordi del tuo mondo. “Quelli che vedi qui invece hanno fatto fuori tutti i loro ricordi. E chi non ha più un passato non ha neppure un avvenire, non ti pare? Per questo non invecchiano. Guardali un po'. Ci crederesti che alcuni di loro sono qui da mille anni e anche più? Ma restano così come sono. Per loro nulla può cambiare, perché loro stessi non possono più cambiarsi.”
Bastiano osservò un uomo che insaponava uno specchio e poi cominciava a fargli la barba. Quello che all'inizio gli era parso molto buffo, adesso gli faceva correre un brivido di gelo giù per la schiena. Si affrettò ad andare avanti e solo allora si rese conto che, così facendo, si addentrava sempre più nella città. Avrebbe voluto tor-nare indietro, ma qualcosa lo trascinava avanti, con la forza di una calamita. Cominciò a correre e tentò di liberarsi di quella fastidiosa scimmia grigia, ma Argax gli stava piantata addosso come una mignatta, e anzi, lo spronava:
“Op! Op! Più svelto! Più svelto!” Bastiano comprese che, continuando a correre, non avrebbe risolto nulla, e si fermò.
“E tutti questi”, domandò senza fiato, “sono stati un tempo imperatori di Fantàsia o volevano diventarlo?” “Ma certo”, rispose Argax, “ogni essere umano che non trovi la strada per tornare indietro presto o tardi vuol diventare imperatore. Non tutti ci sono riusciti, ma, in quanto a tentare, ci si sono provati tutti. Per questo qui ci sono due qualità di matti.Il risultato peraltro... si potrebbe dire... è il medesimo.”
“Come... due qualità di matti? Spiegati meglio! Lo devo assolutamente sapere, Argax!” “Calma, calma”, ridacchiò la scimmia, e si strinse più forte intorno al collo di Bastiano. “Gli uni hanno ceduto i loro ricordi a poco a poco. E quando hanno perduto anche gli ultimi, nemmeno AURYN ha potuto più soddisfare alcun nuovo desiderio. Così sono venuti qui... diciamo... da soli. Gli altri, invece, che si sono fatti imperatori, quelli i loro ricordi li hanno perduti sul colpo. Anche in questo caso AURYN non poteva più soddisfare alcun desiderio, perché non ne avevano più. Come vedi, alla fine il risultato è uguale per tutti. Anche loro sono qui e non possono più andarsene.”
“Vuoi dire che un tempo tutti costoro hanno portato AURYN?”
“Ma certo, questo si capisce” rispose Argax. “Ma ormai è un pezzo che se ne sono dimenticati. Del resto, anche ricordarsene non servirebbe più a nulla, poveri pazzi.”
“Ma gli…" Bastiano esitò un momento, gli è stato portato via?”
“No”, rispose Argax, “quando uno si proclama imperatore, allora AURYN scompare di propria iniziativa. E’ chiaro come il sole, si potrebbe dire, perché dopotutto non si può usare il potere dell'Infanta Imperatrice per defraudarla appunto del suo potere.”
Bastiano si sentiva così male, che avrebbe voluto sedersi un momento, ma la scimmietta grigia non glielo permise.
“No, no! La visita alla città non è ancora finita”, strillava “il più importante deve ancora venire. Vai avanti! Vai avanti!”
Bastiano vide un ragazzo che con un grosso martello piantava chiodi in una calza stesa per terra davanti a sé. Un omone grande e grosso tentava di attaccare francobolli su bolle di sapone che gli scoppiavano regolarmente fra le mani. Ma non smetteva di farne di nuove.
“Guarda!” gridò la vocetta petulante della scimmia, e con le sue manine lo costrinse a voltar la testa in un'altra direzione. “Guarda laggiù! Non è divertente?”
Là c'era un gruppo di gente, uomini e donne, vecchi e giovani, tutti negli abbigliamenti più stravaganti, tutti zitti e intenti, ciascuno per proprio conto, a mescolare e a gettare un'enorme quantità di grossi dadi. Su ciascuna faccia di ogni dado c'era una lettera dell'alfabeto. Mescolavano i dadi e poi restavano immobili a fissarli.
“Che cosa fanno?” sussurrò Bastiano. “Che gioco è? Come si chiama?”  “Il gioco del Caso”, rispose Argax. Fece un cenno ai giocatori e gridò: “Bravi, ragazzi miei, su, su, coraggio! Avanti così! Mai smettere!”
Poi si volse a Bastiano e gli mormorò all'orecchio: “Non possono più raccontare niente. Hanno perduto la parola. Perciò ho studiato per loro questo gioco. Come vedi, li tiene occupati. Ed è anche molto semplice. Se ci pensi bene, ti avvedi subito che tutte le storie del mondo in fondo sono contenute nelle ventisei lettere dell'alfabeto. Le lettere sono sempre le stesse, sono solo le combinazioni che cambiano. E con le stesse lettere si formano parole, con le parole frasi, con le frasi capitoli e con i capitoli le storie. Ecco, guarda lì, che cosa ci sta scritto?”
Pagg. 383, 384 e 385

Ma poi, di slancio, si gettò nelle acque cristalline, vi si rivoltò e sguazzò sbuffando, spruzzando intorno e catturando con la bocca aperta la pioggia di quelle gocce scintillanti. Bevve, bevve fino a che la sua sete si fu placata. E la gioia lo colmò tutto, dalla testa fino alla punta dei piedi, gioia di vivere e gioia di essere se stesso. Perché ora sapeva chi era e qual era il suo mondo. Era rinato. E la cosa più bella era che adesso voleva proprio essere così com'era. Se avesse potuto scegliere fra tutte le possibilità, non avrebbe scelto altro che questa. Perché adesso sapeva: c'erano nel mondo mille e mille forme di gioia, ma, in fondo, tutte si racchiudevano in una sola: quella di poter amare. E gioia e amore erano la stessa cosa.
Anche molto più tardi, quando Bastiano era tornato nel suo mondo, quando fu diventato adulto e infine vecchio, questa gioia profonda non lo abbandonò mai del tutto. Anche nei momenti più difficili della sua vita gli rimase sempre quella letizia del cuore, che lo faceva sorridere e che consolava gli altri.
Pag. 434

“Le acque dicono che tu ora devi metterti in cammino e noi pure”.
“Ma dov'è la mia strada?” domandò Bastiano. “Devi passare dall'altra porta”, tradusse Fùcur, “là dove posa la testa del serpente bianco.” “Bene, ma come faccio a uscire? La testa bianca non si muove.” In effetti la testa del serpente bianco era immobile. Teneva nelle fauci la coda del serpente nero e il suo occhio enorme fissava Bastiano.
“Le acque ti domandano”, annunciò Fùcur, “se tu hai portato a termine tutte le storie che hai cominciato in Fantàsia.” “No”, rispose Bastiano, “per la verità neanche una.” Fùcur restò un momento in ascolto. La sua faccia assunse un'espressione costernata.
“Dicono che in tal caso il serpente bianco non ti lascerà passare. Devi tornare in Fantàsia e finire tutto quello che hai cominciato.”
“Tutte le storie?” balbettò Bastiano. “Ma allora non potrò mai più ritornare. Allora tutto è stato inutile.”
Fùcur ascoltava molto teso. “Che cosa dicono?” volle sapere Bastiano.
“Zitto!” esclamò. Dopo un bel po’ Fùcur sospirò e dichiarò:
“Dicono che non c'è niente da fare, a meno che non si trovi qualcuno che si assuma questo compito in tua vece”. “Ma è un numero incredibile di storie”, gridò Bastiano, “e da ciascuna ne nascono sempre di nuove. Un compito simile nessuno se lo può assumere.” “Sì”, esclamò Atreiu, “io.”
Bastiano lo fissò senza poter parlare. Poi gli gettò le braccia al collo e balbettò: “Atreiu! Atreiu! Non dimenticherò mai quello che tu fai per me”.
Atreiu sorrise.
“Bene, Bastiano, allora non dimenticherai Fantàsia.”
Pagg. 435 e 436



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